IL PRETORE Udita la discussione delle parti; O S S E R V A 1. - Oggetto della presente controversia, cosi come e' stata proposta, e' l'accertamento della responsabilita' dello Stato Italiano per la mancata attuazione della direttiva CEE 80/987 (punto A delle conclusioni del ricorso), nonche', una volta accertata tale responsabilita', la condanna dell'I.N.P.S., ex lege n. 297/1982, al pagamento in favore dei ricorrenti, a titolo di risarcimento, di una somma pari a tre volte la misura del trattamento salariale minimo (punto B delle conclusioni). E' fuor di dubbio, conseguentemente, che i ricorrenti agiscono invocando il disposto del settimo comma dell'articolo due del decreto legge 27 gennaio 1992, n. 80, il quale espressamente prevede, per il periodo antecedente all'entrata in vigore del menzionato decreto (che ha attuato la direttiva), la possibile sussistenza di un "danno derivante dalla mancata attuazione della direttiva CEE 80/1987" (relativa all'obbligo, per gli stati membri, di istituire organismi di garanzia volti ad assicurare ai lavoratori subordinati il soddisfacimento dei crediti per retribuzione in caso di insolvenza del datore di lavoro). L'azione proposta ha pertanto certamente natura risarcitoria, essendo a tal fine molto chiara la dizione legislativa e la conseguente domanda formulata. Si tratta pero', come esattamente ha rilevato parte ricorrente, di una forma di risarcimento danni a carattere speciale, differente da quella ordinaria di cui agli art. 2043 (e segg.) del Codice civile, avendo il legislatore stabilito, con la norma menzionata, che "per la determinazione dell'indennita' eventualmente spettante" debbono trovare applicazione i "termini, le misure e le modalita' di cui ai primo, secondo e quarto comma", cioe' che il soggetto obbligato e' il Fondo di garanzia gestito dall'I.N.P.S., che il risarcimento non puo' superare un dato ammontare, e' riferito ad un circoscritto periodo di tempo e non e' cumulabile con determinate prestazioni. Tali particolarita' dell'azione, a giudizio di questo Pretore, non possono pero' incidere sulla sua natura fino a ritenere, come ha sostenuto parte ricorrente, che la controversia debba essere annoverata tra quelle di cui all'art. 112 del c.p.c. con la conseguente competenza funzionale del pretore quale giudice del lavoro. Cio' che determina la competenza funzionale, infatti, e' la natura della controversia e certamente non anche le concrete modalita' di esercizio del diritto oggetto della controversia medesima ne', tantomeno, la qualita' dei soggetti in causa. Non puo' pertanto ritenersi rilevante, a questi fini, ne' la gia' ricordata previsione di particolari modalita' di liquidazione del danno, ne' la obbiettiva individuazione come soggetto passivamente legittimato di un soggetto che non ha cagionato il danno e che e' stato legislativamente creato con il solo scopo di sostituirsi al datore di lavoro insolvente (art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297). Tali elementi, infatti, non hanno incidenza alcuna sul titolo dedotto in giudizio (dal quale si ricava la natura dell'azione) che rimane quello indicato dal settimo comma dell'art. 2 citato, laddove espressamente ci si riferisce alla mancata attuazione della direttiva come fonte del danno del quale si chiede il risarcimento. E' allora sicuramente estraneo all'oggetto della controversia ogni collegamento con rapporti o questioni di natura previdenziale perche' cio' che viene sottoposto alla cognizione del giudice e' soltanto la condotta omissiva dello Stato italiano come generatrice del danno. Si deve pertanto concludere che la norma di cui si discute prevede una normale azione di risarcimento danni soggetta a particolari modalita' che la differenziano sotto il profilo formale ma non sostanziale delle ordinarie azioni di risarcimento. 2. - La lettura della norma proposta, che pare l'unica possibile in applicazione dei normali canoni di ermeneutica, induce pero' a seri dubbi nella sua costituzionalita'. Ed infatti il decreto delegato 27 gennaio 1992, n. 80, che contiene la norma in questione, e' stato emanato in attuazione dell'art. 18 della legge-delega 29 dicembre 1990, n. 128, con il quale e' stata concessa al Governo la delega per l'attuazione, tra le altre, anche nella direttiva CEE 80/987. Tale articolo nell'elencare partitamente i principi e criteri direttivi cui il Governo si sarebbe dovuto attenere, non prevede nulla circa il risarcimento del danno per la mancata attuazione della direttiva, sicche' il settimo comma dell'art. 2 del d.d.l. citato, che si e' visto stabilire invece criteri e modalita' di tale risarcimento, appare emanato in assenza del necessario potere conferito dal Parlamento, e quindi in contrasto con il disposto dell'art. 76 della Costituzione. A cio' si aggiunga che l'art. 2 della citata legge n. 428/1990, nello stabilire i criteri generali della delega legislativa, alla lettera f) afferma che "i criteri legislativi assicureranno che in ogni caso, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni intervenute entro il termine della delega". Ebbene entro il termine della delega la Corte di giustizia CEE ha dichiarato (il 19 novembre 1991 in causa Francovich) contro lo Stato italiano e in riferimento alla direttiva in questione "che le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento". Si deve pertanto affermare che il contrasto con l'art. 76 della Costituzione deriva anche dall'aver previsto, nonostante quanto stabilito dalla legge-delega, un regime risarcitorio a carattere speciale - cui si e' accennato in precedenza - palesemente meno favorevole rispetto a procedure analoghe, cioe' rispetto sia alla procedura ordinaria per ottenere l'intervento del Fondo di garanzia nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro, sia all'ordinario risarcimento del danno. Non solo poi, il regime previsto e' meno favorevole, ma rende senz'altro anche eccessivamente difficile il concreto risarcimento, atteso che questo da un lato e' limitato a priori nell'ammontare - nonostante cio' sia stato espressamente vietato dalla citata sentenza della Corte di giustizia CEE - e dall'altro, soprattutto, e' soggetto al termine di decadenza di un anno a fronte del ben differente termine prescrizionale (sempre di un anno) previsto per la procedura ordinaria. 3. - La rilevanza della formulata questione di costituzionalita' nel presente giudizio appare certa sotto un duplice ordine di profili tra loro alternativi. Ed infatti: a) dalla ricordata natura risarcitoria dell'azione proposta deriva, come si e' detto, la competenza del giudice ordinario. Cio' significa che nella presente controversia il pretore, in funzione di giudice di lavoro, e' chiamato necessariamente ad applicare la norma di dubbia costituzionalita' proprio nel momento in cui, sul presupposto dell'illegittima previsione di una azione speciale di risarcimento danni di cui alla norma in questione, dovrebbe dichiarare la propria incompetenza. A tale osservazione potrebbe pero' obiettarsi che se la norma della cui costituzionalita' si dubita non vi fosse, la competenza funzionale del pretore del Lavoro - applicando i principi generali - sarebbe sempre insussistente, rendendo in tal modo irrilevante la questione di costituzionalita'. L'obiezione non e' condivisibile perche', pur essendo esatta circa la determinazione finale della competenza nel caso in cui venisse dichiarata la incostituzionalita' della norma di cui si discute, non esclude in realta' la rilevanza della questione. Come infatti ha avuto modo di chiarire da tempo una autorevole dottrina la rilevanza di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non e' solo quella che si riflette sull'esito del giudizio ma anche quella che - come nella specie - incide sul modo di deciderlo, in quanto l'interesse che muove l'intero ingranaggio delle questioni di costituzionalita' e' quello oggettivo del giudice a non applicare norme incostituzionali, sicche' cio' che rileva e' l'applicazione comunque di una norma sospetta di incostituzionalita' anche se il risultato pratico non muta una volta che e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale; b) in ogni caso, la norma in questione deve trovare applicazione per decidere sulla domanda proposta dai ricorrenti, posto che questi hanno espressamente chiesto, come si e' gia' ricordato, l'accertamento della rsponsabilita' dello Stato italiano conil conseguente risarcimento del danno che e' disciplinato proprio dalla norma anzidetta. E' pertanto e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del settimo comma dell'art. 2 del d.d.l. 27 gennaio 1992, n. 80, con riferimento all'art. 76 della Costituzione in quanto eccede i limiti della delega di cui all'art. 18 della legge n. 128/1990 e viola anche i criteri direttivi di cui all'art. 2, lettera f) della citata legge.